Durante i percorsi di Educare i Bambini alla Felicità, abbiamo avuto la fortuna di incontrare e confrontarci con persone di grande esperienza nell’ambito della didattica.
Docenti, formatori, educatori, con i quali abbiamo scambiato idee e pensieri al fine di migliorare reciprocamente le nostre prospettive.
Eccovi alcune delle interviste che abbiamo realizzato:
Alessandra Massa, 21 anni, si sta laureando in scienze dell’educazione. Ora insegna metodologie operative (psicologia applicata) nell’Istituto Maria Ausiliatrice di Milano, scuola basata sullo stile salesiano e caratterizzata da una particolare attenzione alla persona.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
Penso che la scuola sia un trampolino di lancio per la vita dei nostri ragazzi. La scuola deve insegnare ai ragazzi come ci si comporta davanti alle diverse situazioni, deve formare e far diventare i giovani adulti responsabili e pronti ad affrontare la vita. Noi insegnanti dobbiamo fornire ai nostri ragazzi gli strumenti per approcciarsi alla quotidianità in modo positivo, la prima cosa, però, è che ci dobbiamo credere noi. Noi insegnanti attraverso il nostro carisma, il nostro modo di insegnare e qualche contenuto che passiamo dobbiamo trasmettere che il Bene esiste ed è importante avere un approccio positivo.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
La positività si può insegnare, ma la persona che porta avanti questa tesi ci deve credere. Esistono persone più positive di altre, ma per educare I nostri ragazzi ad avere una visione positiva delle cose dobbiamo noi adulti essere positivi.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
I primi anni della vita di un bambino sono fondamentali per la sua formazione, a livello sia fisico che psicologico. I genitori devono aiutare il bambino durante questa fase delicata, devono dargli I mezzi e gli strumenti necessari per crescere e devono comportarsi in un modo corretto. I genitori devono stare attenti a come si comportano perché in questa fase il bambino apprende molto e inizia ad approcciarsi alla vita nel modo in cui lo fanno I genitori.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
In questo momento storico trovo molto difficile dare una definizione della parola felicità. Credo che la felicità sia una cosa molto soggettiva. Una persona può essere felice quando si realizza nella vita, quando ha un lavoro che gli piace, quando ha una situazione affettiva stabile, quando è circondato da persone “vere” e riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. Insomma una persona può essere felice anche facendo dei sacrifici, ma l’importante è che riesca a raggiungere quello che vuole essere nella sua vita.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Al giorno d’oggi i ragazzi sono molto esigenti e soprattutto molto diffidenti verso le figure adulte. La prima cosa da fare è conquistare la loro fiducia, successivamente una volta trovata la chiave di acceso, possiamo “lavorare” per trovare la felicità. Quella vera, però! Noi insegnati ed educatori dobbiamo essere pronti a proporre, inventare delle attività che facciano riflettere gli allievi su loro stessi e che li portino a capire che cosa li rende davvero felici. Questo meccanismo per arrivare alla felicità non è immediato, ma se vogliamo raggiungere una felicità vera dobbiamo percorrere un lungo percorso e soprattutto far capire ai giovani che non sono da soli, ma sempre accompagnati e supportati da noi.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
Credo che la felicità sia una cosa soggettiva. Per i ragazzi è una cosa, per le ragazze un’altra. Nella mia esperienza didattica vedo che le ragazze tendono ad esternare di più la loro felicità, a esporre il motivo per il quale si sentono felici e a condividerlo con gli altri. Mentre per quanto riguarda I ragazzi la felicità è una cosa più intima, non tendono ad esternarla, ma la dimostrano con i fatti o certe volte in modo fisico. La frase “sono felice” tendono molto di più a dirla le ragazze.
Francesca Mastrangelo, 37 anni, psicologa, master in disturbi dell’apprendimento e in mediazione familiare. Dopo una breve esperienza in un consultorio come psicologa, è approdata all’Istituto Achille Ricci che comprende scuola dell’Infanzia, scuola primaria e assistenza ai compiti per gli alunni della scuola secondaria di primo grado. In questo ambito Francesca Mistrangelo riveste diversi ruoli: insegnante di sostegno, specialista in difficoltà di apprendimento e vice direttrice. Attualmente è insegnante prevalente in una quarta elementare.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
Sono convinta che la scuola sia la prima palestra di vita. Tutte le esperienze che i bambini vivono insieme ai coetanei e agli adulti, servono a crescere e a imparare a rapportarsi con gli altri. Un approccio positivo nei confronti delle nozioni nuove da apprendere, durante il gioco o in qualsiasi attività effettuata, può aiutare i bambini ad avere una maggiore fiducia in se stessi, ad affrontare le difficoltà o, semplicemente, a non avere timore verso ciò che ancora non conosce. Forse la scuola non determinerà l’adulto di domani ma, sicuramente, influirà sul suo futuro modo di vivere.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
Da sempre grandi studiosi si sono interrogati su quanto sia già innato nei bambini, o su quanto siano una “tabula rasa” alla nascita.
Avendo avuto la fortuna di diventare mamma due anni fa, ho fatto la strabiliante scoperta di quanta personalità abbiano i bambini, fin da neonati. Sono altresì convinta, però, che trasmettere serenità ai piccoli fin dai primi momenti, incida molto sulla loro tranquillità.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Educare…quante volte al giorno questa parola risuona nella mia mente! Educare, condurre verso qualcosa, verso la crescita e, allo stesso tempo, aiutare i ragazzi a separarsi per affermare la propria personalità, per diventare grandi. Quando dicono che i bambini nascono senza il “libretto di istruzioni”… purtroppo è vero! Sono convinta, però, che un papà e una mamma, riescano a trovare un modo per trasmettere ai propri figli ciò in cui loro credono. E per questo “passaggio”, attraverso soprattutto l’esempio, ogni famiglia trova una propria modalità di trasmissione come in un puzzle in costruzione. Ogni tanto qualche pezzo non si trova o sembra non incastrarsi nel punto giusto, ma come nel gioco, arriverà un momento, seppure lontano, dove l’armonia di forme e colori prenderà vita.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Io non credo che la felicità esista come sensazione allo stato puro. Sono convinta che sia un insieme di percezioni, di benessere psicofisico, è un modus vivendi del tutto personale. Inoltre, tutti questi aspetti, si modificano nel corso della vita, in base alle priorità e ai desideri del momento. A volte può durare anche solo un attimo la sensazione di sentirsi “in pace con il mondo”, ed è quando ci fermiamo un momento nella nostra vita frenetica e riusciamo ad assaporare e a gustare quel preciso istante: lì avvertiamo quel brivido di calore dentro noi, come se un raggio di sole ci scaldasse il cuore.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Penso che i genitori ed insegnanti possano aiutare i bambini ad imparare ad essere felici. La felicità non è data da qualcosa di materiale, così come ci vuole trasmettere la nostra società, ma è una ricerca, è scoprire cosa significhi per ognuno questa parola. Spesso noi adulti facciamo l’errore di anticipare i nostri figli o alunni, temendo quasi che non possano reggere l’attesa o quasi a voler colmare un vuoto che siamo noi stessi a creare per mancanza di tempo o stanchezza! Ecco, forse riscoprire il valore del tempo e dell’attesa può essere uno dei grandi insegnamenti che possiamo dare ai nostri ragazzi!
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
Rispetto agli studi effettuati sulle differenze di genere, ritengo che il concetto di felicità non sia dettato da un fattore cromosomico, ma da interessi personali e, soprattutto, dalle priorità che ciascuna persona ha nella vita. Ciò determina dei cambiamenti nella definizione di felicità, nel corso della vita di ciascuna persona. Spesso si considera saggia la persona anziana, quella che ha avuto maggior tempo a disposizione per imparare dalla vita. Credo che saggia sia la persona che riesce a trovare la felicità nelle piccole cose quotidiane. E questo ce lo insegnano coloro che hanno la saggezza nel cuore: i bambini!
Lucia Tajana, 40 laurea in architettura dopo aver insegnato in vari licei e istituti d’arte a Milano e provincia, attualmente è docente di Disegno Geometrico al Liceo Artistico Caravaggio di Milano.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
Gli insegnanti possono aver un ruolo di stimolo. E, in controtendenza rispetto alla società-immagine, possono aiutare i ragazzi a elaborare una coscienza critica e a fermarsi sulle “cose”. Ricordiamo: è fondamentale imparare ad imparare con spirito di scoperta come in laboratorio.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
Penso sia prevalentemente innata. Comunque può anche essere insegnata attraverso l’abitudine a porsi di fronte alle cose con un atteggiamento di scoperta, disponibile a cogliere il senso dei vari punti di vista perfino di quelli opposti.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Occorre mixare sapientemente affetto, responsabilità e scoperta. Per conciliare questi tre elementi – che sembrano in contraddizione fra loro – direi che è necessario far sentire i ragazzi sicuri dal punto di vista affettivo e dar loro regole precise. Queste li aiuteranno anche a stare davvero con gli altri.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
La felicità è autorealizzazione quindi resilienza, capacità di fronteggiare le avversità. È anche realizzazione personale difficile da raggiungere però! Perché è faticosissimo resistere in un mondo cosi precario per noi 40enni, ma anche per i ragazzi.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Fondamentale esserci. Essere presente: un genitore, un insegnante deve dedicare tempo ai propri ragazzi. È vivendo con loro che è possibile proporre vie educative, dialogo. A casa e a scuola bisogna cercare di non porre chiusure a priori. Infine, fondamentale responsabilizzare sempre i ragazzi ogni volta che si trovano a scegliere anche banali cose quotidiane: l’acquisto di un abito, di un videogioco.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
C’è una differente consapevolezza di genere: i maschi adolescenti cosi alti, con voce in via di definizione, scoordinati hanno poca consapevolezza corporea. Ciò li rende più dipendenti dal gruppo in cui si sentono sicuri: la felicità per loro è essere accettati dai compagni. Costi quel che costi, magari anche la sottomissione! Le fanciulle più consapevoli del loro corpo riescono ad essere più felici, più pronte ad affrontare la vita.
Chiara Corte Rappis, psicopedagogista.
La sua formazione psico-pedagogica comincia con il liceo psico-pedagogico. Successivamente si è iscritta all’Università, lavorando durante il percorso universitario con i bambini e i loro genitori presso varie strutture educative, associazioni e laboratori scolastici e didattici. Si è laureata all’Università degli Studi Bicocca di Milano. Ha proseguito il suo iter formativo con il Corso di specializzazione sulla Clinica psicoanalitica dei nuovi sintomi con lo psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati. Ha lavorato con adolescenti e giovani adulti. Dal 2012 ha dato vita a “Spazio Eterotopico” , luogo di consulenza psico-pedagogica rivolto a tutte le persone che si trovano ad affrontare momenti di criticità nella loro vita. Segue con continuità le attività svolte dal Centro Studi Riccardo Massa e dalla Jonas Onlus. Ha svolto molte attività di volontariato rivolte ai giovani presso la Fondazione Milano per la Scala. Ha svolto per molti anni, dopo un Corso di Formazione, un ruolo di affiancamento, sostegno e accompagnamento alle visite negli Spazi di Prevenzione Oncologica della Lega Italiana per la lotta contro i Tumori.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la famiglia in questo ambito?
La famiglia può e deve essere testimone di passione ed entusiasmo per tutto: dalle piccole cose ai grandi impegni lavorativi. Vivere la vita con passione è uno dei grandi strumenti pedagogici per far passare ai nostri bambini e ai nostri ragazzi un grande messaggio di positività e di benessere, è un potente antidoto contro le depressioni, le ansie e le criticità del mondo contemporaneo.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
A mio avviso la positività non è innata, né può essere insegnata. Ma può essere testimoniata dalle persone che ci circondano attraverso ciò che li vediamo fare e ciò che li sentiamo dire.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Dovremmo cercare di offrire ai nostri bambini occasioni concrete in cui possano sperimentarsi, cercando di non drammatizzare lo sbaglio, l’errore, l’inciampo. Solo sbagliando si può crescere. Lo sbaglio non deve diventare occasione per porre sul bambino un’etichetta di “incapace”, perché questa etichetta gli potrà restare per sempre, evitando di sperimentarsi, cosa invece importantissima; per capire chi è e che cosa desidera. Neppure dovremmo sostituirci ai figli per paura che sbaglino: il bambino costruisce lo schema di sé in base a ciò che riuscirà a fare.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Per me felicità è la realizzazione di un proprio desiderio, coltivato a lungo, e che ha necessitato anche di un lungo percorso per il suo raggiungimento, ma che quando lo possiamo cogliere ci riempie il cuore e la mente di gioia immensa. La felicità è quindi realizzazione di un desiderio coltivato a lungo, ma è anche messa in cammino, ricerca.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Il compito di un genitore non è quello di pensare a come rendere felice un figlio, ma è quello di sostenere il suo “autentico desiderio”, anche se è difficile comprenderlo e anche se non è quello che il genitore pensa possa renderlo felice. Qui non si tratta della felicità di quel genitore o di quell’insegnante, ma di quella del ragazzo che è un individuo unico ed irripetibile, con sue proprie aspirazioni, differenti da quelle dei genitori e degli insegnanti.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla sua esperienza c’è una diversa felicità di genere?
Maschi e femmine sono diversi nel pensare e nel sentire e questo è un dato certo, ma hanno bisogni simili: il bisogno di amare ed essere amati, di sentirsi realizzati come persone nella loro completezza; quindi nella loro sfera sentimentale, affettiva, lavorativa e socio-relazionale.
Paolo Grazioli è laureato in Filosofia con indirizzo Estetico. Ha discusso una tesi sulle implicazioni filosofiche ed etiche nelle origini del Bel Canto Italiano, presso l’Università Statale degli Studi di Milano sotto la guida del professor Stefano Zecchi, ottenendo la massima valutazione Magna cum Laude. È diplomato Falsettista Barocco al Conservatorio di Milano, il primo in Europa a conseguire questa specializzazione. È vicepreside presso la scuola media Ilaria Alpi di Milano.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la famiglia in questo ambito?
Per crescere ragazzi sereni, forti, sicuri di sé conta il Dna. Ma contano soprattutto i genitori e le esperienze. Un ragazzo che si valuta positivamente si sente degno di essere amato e felice. Ma come si forma questa buona opinione di noi stessi? Nasce e si sviluppa solo grazie alla relazione di attaccamento e ai comportamenti amorevoli della famiglia: il ragazzino che viene rassicurato fisicamente e psicologicamente prova un sentimento di fiducia nella vita ed è in grado di darsi una propria identità, di riconoscere il proprio valore personale.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
La positività si insegna attraverso l’educazione al senso estetico che parte dalla bellezza fisica, morale per arrivare fino alla bellezza spirituale.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
È fondamentale fornire stimoli, tanti stimoli positivi: lezioni entusiasmanti in classe, visite a musei, esperienze, progetti. Ovviamente bisognerebbe, nel far questo, tener conto delle diverse sensibilità dei ragazzi e delle differenti capacità di percepire i messaggi. C’è bisogno di insegnanti appassionati e il sistema educativo dovrebbe permettere ai docenti di vivere queste passioni.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Non so dare una risposta. Credo che felicità sia semplicemente vivere. Lasciarsi sorprendere dalle luci dell’esistenza e saper gestire le ombre che fanno parte della felicità.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Famiglia e Scuola dovrebbero accendere la scintilla che è in ciascuno di noi. Quel talento che contraddistingue ogni persona. Le personali inclinazioni si sviluppano anche attraverso lo studio classico: sono convinto che insegnare un metodo sia veicolo di felicità.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla sua esperienza c’è una diversa felicità di genere?
Non c’è diversa felicità di genere. I ragazzi e le ragazze hanno circuiti neurormonali diversi, si esprimono con differenti linguaggi, ma la felicità è unica per entrambi. Ed è la realizzazione e l’accettazione di sé all’interno del gruppo.
Interviste effettuate durante l’anno 2015.
Stefano Sangalli, laurea in Scienze della Formazione, dopo aver insegnato alcuni anni in una scuola media, è diventato formatore di docenti e genitori. Oggi è coordinatore dell’attività didattica-educativa insieme al Preside del Liceo Classico e Scientifico nell’Istituto Salesiano Sant’Ambrogio.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola?
«La fiducia di base, quindi l’approccio alla vita fiducioso e positivo, si costruisce nel primo anno di vita attraverso il rapporto simbiotico madre-bambino. Durante l’età evolutiva la scuola ha un ruolo determinante nel consolidare tale approccio alla vita attraverso gli insegnanti-educatori, l’esperienza sociale con i pari, attraverso la cultura che è umanizzazione della vita stessa. In modo particolare un ragazzo ha la possibilità di essere aiutato a interiorizzare e a desiderare una vita positiva solo con l’incontro di adulti significativi che della felicità ne sono testimoni veri».
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
«La felicità non si insegna e neppure si trova come un tesoro nascosto dentro di noi. La felicità è un percorso di ricerca della propria identità e del proprio senso dell’essere hic et nunc, in una prospettiva di risposta a una domanda di senso. Questa affonda le radici in una visione metafisica della realtà. Ma in un ragazzo resta determinante l’incontro con un adulto che risponde quotidianamente a questo desiderio di felicità, in grado quindi di attivare in lui le risorse personali perché anch’egli si metta in questo cammino, nel solco già tracciato da chi nell’umanità lo ha preceduto, e possa così trovare in questa ricerca l’unicum che egli rappresenta».
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo?
«L’adulto che educa, genitore o insegnante, non può prescindere da un atteggiamento fondamentale: la speranza. Essere uomini di speranza non significa generare comportamenti o dispositivi educativi con superficiali attese puramente ottimistiche; ma suscitare risposte di autoapprendimento e di superamento della propria situazione di stasi o stagnamento evolutivo. “Senza la speranza è impossibile sperare l’insperato” (Eraclito, filosofo greco, 535 a.C. – 475 a.C)».
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
«Oggi come ieri la felicità è la risposta quotidiana alla domanda del mio esserci, la domanda di senso. La difficoltà a trovare la risposta a questo cammino di ricerca in un giovane risiede nel frastuono di un modello di vita adulto ove alla “solidità” dei valori si è sostituita la loro “liquidità” (vedi i testi di Zygmunt Bauman) o la loro “evaporazione” (ne parla lo psicanalista Massimo Recalcati). Non è felice un approccio alla vita che predilige quindi la narcotizzazione della ricerca attraverso l’illusione dell’appagamento immediato dei sensi e dei bisogni».
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
«Camminare accanto a lui come icona di felicità, sostegno nella difficoltà, sprone alla ricerca della propria identità. In una parola: amare. Quanto? “ La misura dell’amore è amare senza misura” (S. Agostino, filosofo – vescovo – teologo, 354 d. C – 430 d.C.)».
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
«Nel limite della mia competenza professionale, più che di felicità diversa nella sua sostanza (in quanto è sempre una risposta esistenziale) mi sento di poter affermare che i cammini di ricerca sono diversi e così pure le modalità attraverso le quali un ragazzo o una ragazza interiorizza un modello di adulto felice. Basti pensare a com’è diverso il modo di recepire una lezione da parte di allievi di sesso differente, se questa viene svolta da una insegnante o da un insegnante: si vanno a suonare corde emotive e motivazionali molto diverse».
Michele Germanetto, Preside dell’Istituto “Lindbergh Flying School” di Milano.
L’apprendimento tecnico: training di felicità
Lindbergh Flying School, Milano. É un istituto tecnico del trasporto aereo che prepara i giovani a diventare piloti, hostess, steward, ma anche assistenti aeroportuali o addetti ai servizi meteorologici.
Talenti indispensabili per frequentare la scuola: entusiasmo, passione, coraggio, ma anche precisione, riflessi pronti, autocontrollo emozionale. «A volte, si lavora in situazioni di forte stress in cui occorre saper intervenire controllando il carico d’ansia e sapendo agire nel modo corretto e nel minor tempo possibile. La positività è una dote fondamentale per frequentare il nostro istituto», spiega il Preside Michele Germanetto.
Chi frequenta il Lindbergh?
«Nella nostra scuola vengono sia ragazze che ragazzi: i maschi hanno spesso un atteggiamento più spensierato rispetto alle ragazze ma questo non significa che siano più felici. Così non è detto che le ragazze non siano serene perché in alcuni casi manifestano maggiori livelli d’ansia.
Entrambi, allieve e allievi cominciano a frequentare con lo stesso obiettivo: diventare piloti.
In corso d’opera alcuni correggono il tiro: le donne in particolare scelgono di proseguire nel settore controllori di volo e meteorologia».
Il rendimento scolastico nelle materie inglese, matematica, fisica, le più “importanti” in questo tipo di studio, è simile sia fra le ragazze che fra i ragazzi. «Direi che non ci sono diversità di genere nella capacità di apprendere, ma differenti abilità personali legate alla storia personale, alle singole attitudini. C’è poi un altro aspetto da evidenziare: chi viene in questa scuola sa che già dopo la maturità può trovare un lavoro qualificato. Per questo è molto motivato a fare con positività».
Matematica sì, ma con il sorriso
«Il corso degli studi si articola in un quinquennio costituito da un primo biennio in cui sono proposte le nostre materie professionalizzanti: matematica, tecnologia, chimica, fisica e poi da un secondo biennio e dall’ultimo anno dedicati alla specializzazione, vedi conduzione mezzo aereo, controllori traffico aereo.
Le materie del nostro indirizzo sono difficili, ma se insegnate e apprese con atteggiamento positivo diventano molto affascinanti e più “leggere”.
Il docente in questo tipo di istituto deve essere calmo, sorridente, sereno», aggiunge il professor Germanetto. Non deve assolutamente far pesare le proprie vicende personali perché quando si vola bisogna essere tutt’uno con il mezzo che si conduce, senza interferenze di altri pensieri.
Quando si vola l’unica bussola psicologica è la positività. E a questa ci si abitua già sui banchi di scuola. «Sembra un dettaglio banale, ma se un insegnante entra in classe con il sorriso riesce a trasformare l’atmosfera della classe in positivo e ciò aiuta gli studenti a sviluppare un atteggiamento propositivo, coraggioso, indispensabile per proseguire con caparbietà anche davanti a insuccessi». Attenzione: non bisogna confondere positività con superficialità e leggerezza.
I ragazzi devono essere educati al dovere, alla fatica, ma è il modo in cui ci si impegna a fare la differenza: solo se credo di farcela riesco a spiccare il volo.
La positività può essere insegnata?
«Essere felici è soprattutto una conquista, frutto di un costante lavoro su sé stessi. Non solo. Contano tanto gli esempi positivi intorno a noi: genitori, amici, insegnanti possono favorire il raggiungimento della serenità», dice Michele Germanetto.
In questo senso la scuola deve offrire un continuo stimolo affinché le caratteristiche proprie di un ragazzo emergano in maniera naturale.
L’ambiente scolastico è uno dei primi ambiti in cui i giovani si mettono in relazione con gli altri ed è importante che siano educati alla diversità e al rispetto. Solo così riescono a vivere serenamente il confronto sociale, ambito in cui sviluppare felicità.
E poi non bisogna dimenticare che l’educazione si fa con la famiglia, con la scuola, con la piazza. Delle volte purtroppo è più la piazza a “insegnare”… Ci sono casi in cui la piazza lavora meglio della famiglia dove non c’è gioia, ma solo disfunzionalità e discussioni».
Tecnica, un allenamento per diventare felici
«Ci sono ragazzi che nei campi di concentramento o in situazioni terrificanti hanno raggiunto ottimi risultati, sono diventati persone solide e soddisfatte proprio perché hanno trovato dei modelli positivi. E per positivi intendo soggetti capaci di mostrare le proprie debolezze e i propri punti di forza senza esibire maschere della perfezione che rischiano di crollare con facilità.
Penso che sia necessario invece accompagnare i giovani verso la scoperta e l’accettazione di emozioni, gioie e insuccessi affinché tutte le esperienze, anche quelle “brutte”, concorrano a costruire il cammino verso la serenità», dice ancora Germanetto. Perché la felicità è un atteggiamento in divenire, non è mai qualcosa di compiuto: si potrebbe dire che è la capacità di assorbire le esperienze negative senza esserne travolti. In questo le materie tecniche così complicate e che perciò possono esporre facilmente all’insuccesso sono un’ottima palestra per allenarsi a diventare felici!
Maria Teresa De Martino, ex alunna Faes della Scuola Belforte di Napoli, laurea in lettere classiche, fin dall’università ha maturato esperienze lavorative nell’ambito dell’insegnamento del latino e greco. Attualmente è vicepreside Liceo Classico e Scientifico Faes. Sposata dal 1989, è madre di sette figli.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
«La scuola può avere un ruolo determinante, anche se non sostitutivo rispetto a quello della famiglia. Il docente che nella sua azione didattica ed educativa si pone con atteggiamento positivo di fronte allo studente, rinforza in lui la realtà della speranza intimamente connaturata con l’essere umano. Dante Alighieri all’ingresso dell’Inferno non comprende: il “lasciate ogni speranza voi che entrate”, di fatto questa è una logica disumana. Un docente sorridente ed equilibrato, capace di non scoraggiarsi, di aiutare l’alunno a trovare l’aspetto positivo anche nell’insuccesso, di rilanciare, di sdrammatizzare senza sminuire, di non chiudersi in giudizi mortificanti e definitivi, di rimotivare all’impegno, di sostenere nella fatica e nella ricerca di senso, diventa un punto di riferimento e, attraverso l’insegnamento delle sue discipline, influirà in modo significativo sull’adulto di domani».
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
«Al di là di una certa predisposizione naturale all’ottimismo che può essere radicata in alcuni di più in altri di meno, non credo si possa parlare di dote innata e forse neanche insegnabile; certamente l’esempio personale del docente, che si sia guadagnato la stima degli alunni nell’esercizio della sua professione, è trascinante e incoraggiante in tal senso».
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
«Il valore dell’esempio attraverso esperienze molto concrete e reali è fondamentale; alla primaria, ma anche in età prescolare, i bambini sono nella fase di massima ricettività. Le esperienze a scuola sono da vivere al fianco dell’alunno con l’obbiettivo alto di educarlo al bello, all’ascolto attento, allo sviluppo della curiosità e del desiderio di conoscenza naturali nel bambino, alla capacità tutta da costruire di chiamare le cose con il proprio nome, di scoprire nuove parole, di aiutarsi vicendevolmente durante questo cammino».
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
«Come qualcuno molto più autorevole di me ha detto, felicità è trovare il proprio posto nel mondo e poter un giorno uscire dalla rappresentazione di questa vita lasciandola migliore di come l’ aveva trovata entrandovi».
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
«Concretamente non significa appianare o eliminare ogni difficoltà o gli ostacoli; non significa esprimere delle valutazioni non corrispondenti alla realtà per timore delle reazioni. Vuol dire sostenere e orientare il giovane nella ricerca e, talvolta, nella fatica e nell’insuccesso, rispettando a qualsiasi costo la sua libertà. Vuol dire aiutare il ragazzo o la ragazza a scoprire i propri punti di forza e i propri limiti, a saperli accettare serenamente, a trasformarli in opportunità; significa in definitiva incoraggiare lo studente a trovare il suo posto nel mondo; in tal modo la felicità sarà forse ancorata in modo più duraturo e potrà permanere come un sottofondo, a prescindere dalle circostanze più o meno favorevoli della propria vita futura di adulti».
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
«Per un ragazzo come per una ragazza è importantissimo sentirsi accettati e accolti dai pari, ma anche dagli adulti. Nella mia esperienza di insegnante le ragazze sono maggiormente fragili nel momento della valutazione; tendono istintivamente a trasformare il voto di una prova scolastica in un giudizio sulla propria persona. In tal senso l’insegnante è particolarmente chiamato a esplicitare, con qualche sobria parola o con qualche piccolo atto concreto, la propria stima nei confronti della persona».
Suor Maria Miotti, da dieci anni Preside della Scuola Media dell’Istituto Maria Ausiliatrice di Milano, scuola “di tradizione”, presente in via Bonvesin de la Riva dal 1913.
Ma davvero la scuola educa alla felicità?
Impariamo a essere positivi sui banchi di scuola: ne è convinta Suor Mara «Noi Salesiani abbiamo un ideale che è quello di aiutare i ragazzi a essere felici secondo l’insegnamento di don Bosco.
Il fondatore della nostra Congregazione diceva che la felicità non è mai un traguardo, ma un processo e va insegnata non a parole, ma attraverso la testimonianza. Non sto proponendo ideali di perfezione.
I ragazzi non vogliono docenti senza difetti, ma persone che sappiano riconoscere il proprio limite e che siano in grado di riscattare gli eventuali errori. Ed è per questo che poi diventano modelli da emulare.
Ricordiamolo: non si porta nessuno laddove non si è stati: noi docenti prepariamo gli allievi a essere felici, a star bene con loro stessi, se noi siamo felici», spiega suor Maria Miotti.
Le parole possono essere senz’altro significative e molto orientative, ma l’esempio è molto più efficace perché è il modo con cui un insegnante porge il sapere, la passione che trasmette, il sorriso con cui parla a fare la differenza. «Noi amiamo dire che la scuola è formata da tre ambienti: l’aula dove si apprende, il cortile dove si creano le relazioni e la cappella che è la dimensione di tutta la persona perché rappresenta la ragione, l’affettività, la relazione con Dio. Se la scuola assembla tutto questo, se accoglie, accompagna, se è un luogo, una famiglia, una casa, allora, davvero propone positività».
Fondamentale indicare il limite
Bisogna evitare il fraintendimento. «Dalla mia esperienza emergono due strade. La prima: meno popolare, è quella di mettere dei paletti, dei confini per agire. Senza limite il ragazzo, prima o dopo, è esposto alla frustrazione che rischia di non saper elaborare cadendo, successivamente, in depressione.
La seconda è quella propositiva: trasmettere cose belle, entusiasmanti, dimostrare che la vita non è tutto uno scivolamento, non è soltanto fatica, ma è anche bellezza, gioia. Questa è la chiave per diventare felici».
L’educazione, secondo suor Miotti, passa proprio attraverso queste due scelte. Certo non è facile né a scuola né a casa attivare corrette strategie in tale direzione, ma non bisogna scoraggiarsi: gli studenti – che prima di tutto sono persone – manifestano sempre la disponibilità a perdonarci quando noi adulti riusciamo a dire: ho sbagliato ricomincio, pensavo di aver fatto bene ma non ce l’ho fatta. Proporre il limite è un esercizio che favorisce anche chi vive in famiglie segnate da disagio e forti conflitti che rischiano di interferire con la felicità. Importante, però, lavorare sulla motivazione, sull’accompagnamento, sull’affiancamento del ragazzo.
E la scuola su questo ha una grossa responsabilità che non si deve fermare al lavoro in aula.
Oltre l’orario
«Perciò in via Bonvesin de la Riva si continua ad apprendere oltre le ore del mattino. Nel pomeriggio, infatti, proponiamo attività trasversali. Durante queste ore il docente può agire, senza registro, comunicando in modo diverso, dicendo, per esempio, quella famosa parolina all’orecchio adatta a ciascuno che Don Bosco considerava veicolo di simpatia, empatia e nutrimento psicologico e spirituale. Elementi indispensabili per attivare il cambiamento di prospettiva».
Certo non è un lavoro che dà risultati immediati, occorre pazienza. A volte, i frutti arrivano dopo molto tempo. É così che si crea l’alleanza insegnanti-ragazzi fondamentale per instaurare un rapporto di fiducia reciproca. «Perché, come diceva il nostro fondatore, per un adolescente non è solo importante essere amato, ma accorgersi di essere amato. Non servono grandi cose per dimostrargli amore: sono sufficienti uno sguardo, una parola, ma anche un rimprovero.
Sì, il rimprovero può essere una grande manifestazione d’amore se non è sfogo, se è un modo per manifestare la propria rabbia. Ben altro deve essere il senso della sgridata che equivale a dire: la ricerca di perfettibilità è in corso, il percorso verso la positività è condiviso. «Perché il cammino che ci porta verso la felicità ha bisogno di confronti, alleanze, non di solitudine».
C’è una felicità maschile e una femminile?
«I circuiti neurormonali delle ragazze e dei ragazzi sono diversi così come i sentimenti e il modo di esprimerli. Ma entrambi cercano le stesse cose, anche se con metodi e tempi differenti. Per questo noi lavoriamo sempre con gruppi misti, maschi e femmine: gli uni possono essere i maestri delle altre. E viceversa.
Non proponiamo differenziazioni nei programmi e non confezioniamo argomenti di genere. Riteniamo che ci siano tipi di intelligenza razionali e lucidi, tradizionalmente ritenuti maschili, tra i ragazzi come tra le ragazze. Allo stesso modo ci sono inclinazioni alla cura, all’attenzione, all’empatia anche fra molti adolescenti maschi».
Il nodo, però, non è tanto quello di parlare un linguaggio al femminile o al maschile quanto la coerenza tra i valori e l’operatività, tra il dire e il fare. E questo che rende felici.
Laura Donzelli, Communication & Facility Manager, Andersen International School, Milano
Felici a scuola? Sì, quando c’è creatività
Andersen International School è la prima scuola Internazionale a Milano che rivolge il suo sguardo alla creatività. In ogni bambino è racchiuso il seme dell’arte, della musica, della danza e dello sport: noi insegniamo loro come farlo fiorire. La nostra scuola è un’ampia struttura che comprende Nursery, Pre-school, Primary e Middle school. È presente uno staff composto da insegnati di classe madre lingua inglese proveniente da tutte le parti del mondo e docenti di italiano. Per celebrare il nostro multiculturalismo ogni anno proponiamo l’Internation Day, un evento che unisce genitori, bambini e insegnanti in una grande festa ricca di attività, show, cibi caratteristici e addirittura flash mob. In questa giornata si respira un vero clima di condivisione e spirito di aggregazione. La nostra scuola è in piena crescita e l’avvio delle medie ne è la prova: mi piace ricordare che i ragazzi di Year 7 hanno girato un film completamente ideato, scritto, girato e montato da loro, con la partecipazione e consenso della scuola e degli insegnanti di classe. Vedere per credere! Tutto ciò è frutto del lavoro e della passione di due grandi donne, imprenditrici e amiche Angela Matarrese e Bianca XXXX che 10 anni fa hanno condiviso il sogno di una scuola che facesse veramente la differenza per i bambini e che gli permettesse di crescere attraverso lo studio, il divertimento e la fantasia.
Le neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Quale il ruolo dell’educazione?
La scuola ha una funzione importantissima nell’allenamento emotivo che significa favorire il rispecchiamento, l’empatia, la pro-socialità, il riconoscimento delle emozioni al fine di poter dare un significato alle esperienze e alla loro elaborazione. Questo processo incrementa lo sviluppo di un’identità forte e sicura, indispensabile per rapportarsi con il gruppo dei pari e con gli adulti.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
Alla Andersen International School sosteniamo con passione l’idea che la positività può anche essere insegnata. D’altronde, ne siamo convinte, la positività è una qualità estremamente contagiosa capace di rigenerarsi e rigenerarci in uno straordinario circolo virtuoso. Un ambiente e delle personalità ricche di creatività rappresentano il terreno fertile sul quale coltivare i nostri migliori propositi, per noi e per nostri ragazzi. Non per nulla la Andersen International School si impegna ogni anno a dare alla formazione scolastica interna una considerevole impronta creativa che si fa spazio attraverso tutte le aree artistiche.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi in quella fascia d’età?
Nei ragazzi il programma di educazione alle emozioni (incoraggiamento, condivisione, senso di appartenenza, cooperazione..) permette di stabilizzare il proprio personale equilibrio attivando una rielaborazione del background genetico. Le nuove ricerche psicologiche lo confermano: l’utilizzo di un modello educativo basato sulla decodifica emozionale risulta tanto più efficace quanto è minore l’età dei ragazzi. Se si interviene prima dei tredici anni è possibile ottenere un potenziamento delle competenze emotive che costituiscono un fattore di protezione rispetto alla “genetica” intesa anche in senso più ampio come storia personale, matrice “biologica” e familiare.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Difficile rispondere. Per essere felici sono indispensabili sintonia, tranquillità, capacità di gestire il mondo emozionale, di riconoscere l’emotività nostra e degli altri. Ma non solo. Bisogna conoscere i propri limiti e saper trovare modi e tempi per superarli.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Importante insegnare il miglior modo di approcciarsi allo studio, alla creatività, al lavoro, a tutto quello che la vita ci offre. Questo è fra i nostri più grandi obiettivi. Altrettanto fondamentale migliorarci insieme a ragazzi…! Un approccio positivo alla vita è davvero in grado di migliorarci dentro e guidarci attraverso il raggiungimento dei nostri obiettivi, dai più piccoli ai più grandi, a quelli che credevamo impossibili da raggiungere.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
È vero che ragazzi e ragazze hanno un diverso modo di porsi e di apprendere, ma un insegnante competente riesce a leggere e trovare un linguaggio in grado di soddisfare entrambe le esigenze. In Andersen spesso maschi e femmine lavorano in gruppo: in questo ambito ciascuno porta le proprie abilità e conoscenze così da raggiungere un comune obiettivo. Le differenze di genere così sono occasioni di reciproca crescita.[/learn_more]
[learn_more caption=”Intervista a Fratel Gabriele Rosario Mossi”]Fratel Gabriele Rosario Mossi, nato a Vercelli nel 1942, è religioso laico della Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fondata in Francia verso la fine ‘600 da san Giovanni Battista de La Salle, patrono di tutti gli educatori cristiani.
Iter formativo: Diploma di Abilitazione Magistrale, Diploma di Maturità Classica, Laurea in Scienze Religiose (Università Lateranense Roma), Laurea in Filosofia (Università Cattolica Milano), Abilitazione in scienze umane e storia.
Docente di Religione, storia e filosofia per quarant’anni all’Istituto Gonzaga di Milano – scuola libera di proposta cristiana e prestigiosa realtà culturale ed edu-cativa con 1300 alunni, dai bimbi dell’infanzia ai giovani dei Licei classico, scientifico, europeo linguistico e giuridico-economico – lasciato l’insegnamento, si dedica alla formazione culturale pedagogica e religiosa di studenti, docenti e geni-tori, con scritti, conferenze, animazione di gruppi e incontri vari.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
Educare ad un “approccio positivo alla vita” è tra i compiti più importanti della scuola oggi, in una società ferita dal qualunquismo e dal tragico non senso delle cronache quotidiane. L’educatore, in sintonia e positiva interazione con la famiglia, conosciuta per quan-to possibile la realtà effettiva e la situazione esistenziale dei suoi ra-gazzi, ogni giorno si preoccupa con loro di far sentire il suo affetto sincero, con attenzione premurosa, ascolto, interessamento, aiuto e soprattutto rispetto. In un clima di stima reciproca, la cultura si fa educazione ai grandi valori di una vita positiva e riuscita: la ricerca e il gusto del vero, del buono e del bello, l’onestà, la coerenza, l’altruismo e il dono di sé. La vita è conquista, non ti dà nulla per nulla e non ci sono solo diritti ma doveri. Con sano realismo, senza pessimismi vittimistici e illusioni presuntuose, la scuola incoraggia la fiducia in sé stessi e negli altri, la serena coscienza dei propri va-lori e limiti, l’entusiasmo creativo nello sviluppare al meglio le pro-prie attitudini, la gioiosa speranza nella vita e la tonificante fede in Dio, affrontando con coraggio e forza d’animo difficoltà, ingiustizie, dolori, fallimenti, facendo tesoro dei propri errori con senso critico e soprattutto coltivando sane abitudini.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
L’atteggiamento positivo verso la vita, in parte connaturato all’in- dole e al carattere di una persona, nel corso dell’esistenza – ad opera della famiglia, della scuola e della società – viene plasmato ed arricchito dal carisma della maturità.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quel-la fascia d’età?
Alfred Adler sostiene che nei primi cinque anni di vita l’incul- turazione di base giochi il destino di una persona. Con i bimbi è fondamentale l’affetto espresso con tenera fermezza, dedicando loro tutto il tempo disponibile per ascoltarli, dialogare, stimolare intelli-genza-volontà-cuore, senza abbandonarli comodamente tra le brac-cia di mamma TV o all’uso maniacale di un Tablet. Vitale è la testi-monianza del buon esempio e la coerenza nel tratto e nei rapporti, evitando l’ autoritarismo esagerato che crea nevrotici ribelli o maso-chisti e il permissivismo opportunista che sforna nevrotici fragili egoisti e asociali. Fondamentale è l’educazione quotidiana alla sin-cerità, al senso della famiglia, al rispetto e all’aiuto verso il prossimo, al senso religioso e alla fede in Dio, cercando di controllare le fre-quentazioni di famiglie amiche e dei coetanei e stando molto attenti a quali persone affidiamo le nostre creature.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
(La felicità è resilienza? E’ autorealizzazione? E’ ricerca del piacere…)
Per la gente comune felicità è l’araba fenice – è già gran cosa riuscire ad essere sereni – è sogno illusione utopia, istante fugace, o gam- ma di sensazioni ed emozioni che fanno stare bene. C’è chi di-stingue la felicità, che dipende soprattutto da noi, dall’allegria con-dizionata per lo più da fattori esterni.
Se considero l’uomo “unità indissolubile corpo-psiche-spirito”, sotto il profilo biologico e fisico felicità è godere delle buone cose della vita, anche se molti la riducono ai piaceri materiali. Sotto il profilo psico-logico felicità è appagamento di desideri che fa provare emozioni, sentimenti e affetti con sensazioni forti, stupore per il bello, il bene, l’amore. Il sorriso e lo sguardo luminoso sono il suo biglietto da visi-ta. Sotto il profilo filosofico, per Aristotele felicità è ”eudaimonìa” (favore di un demone buono) perciò vita riuscita, piena realizzazione di sé. Sotto il profilo spirituale e religioso il Cristianesimo considera somma felicità la vita di Dio Amore nel credente, che consacra al prossimo la sua gioia di amare con lo splendore delle Beatitudini. Il cristiano cerca la vera felicità nell’amore di Cristo Risorto, per vince-re la finitudine e la morte. Felicità è conquista della nostra fede, pe-gno della nostra speranza, premio del nostro amore.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
All’Istituto Gonzaga – luogo di vita e famiglia – gli insegnanti so-stenuti dai genitori incoraggiano la ricerca personale e comunitaria della serenità e della felicità con un’educazione che ha per obiettivo di far crescere persone mature, professionisti di valore, cittadini re-sponsabili, cristiani autentici e credibili.
PERSONE MATURE (istanza psicologica): con una formazione inte-grale dell’uomo ( conoscere volere sentire ), in un scuola di libertà fatta di stima accoglienza ascolto incoraggiamento, che sa “toccare il cuore” dei giovani, va a cercare i deboli e in difficoltà per curare le nuove povertà, coltiva il senso dei valori come l’autostima, la sinceri-tà, il coraggio, l’amicizia vera, l’amore fattivo, la pace… e tutto con grande serenità, evitando rigorismi tensioni e sofferenze gratuite.
PROFESSIONISTI DI VALORE (istanza culturale): grazie a una cultura ad alto livello ( “non solo sapere ma saper vivere”), in una scuola che “funziona bene” con ordine e rispetto delle regole , docenti compe-tenti e responsabili, incoraggia uno stile di vita dignitoso, conforta virtù professionali come serietà sacrificio coerenza equilibrio genero-sità, esalta la dignità del lavoro che è autorealizzazione, non solo mestiere ma missione e servizio, sprona al successo con sana emu-lazione e orienta alla professione futura sul piano psicologico, etico, tecnico.
CITTADINI RESPONSABILI (istanza sociale): in una scuola che cura l’unità nella diversità, non solo diritti ma doveri, relazioni personali costruttive, rapporti di convivenza civile, comunità-famiglia che non emargina e non esclude nessuno, invita ad accettare incarichi con servizio responsabile e stimola la partecipazione politica con attiva volontà di concreta partecipazione al bene pubblico.
CRISTIANI AUTENTICI E CREDIBILI (istanza religiosa): in una scuola che promuove valori umani trasfigurati dal Vangelo, educa alla reli-giosità, al senso di Dio e ai valori dello spirito, offre una solida cul-tura religiosa fondata sulla Parola, l’etica, le scienze umane, vive la fede come presenza di Dio e abbandono a Lui, respira speranza e incarna l’amore in un volontariato che si fa mano di Dio per gli ul-timi, sale della terra e luce del mondo con spirito comunitario, ec-clesiale, ecumenico, in Cristo Risorto nostra felicità.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diver-si: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una di-versa felicità di genere?
La sessualità colora di tonalità ed espressioni diverse la sensi-bilità e l’affettività delle persone, ma penso che non ci sia diversità di ge genere sui valori di fondo della felicità ma nei modi di interpre-tarla e viverla.
Francesca Granata da vent’anni è direttrice della Scuola dell’Infanzia, Istituto Leopardi.
Arte, musica, drammatizzazioni veicolano felicità
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
Davvero un ruolo notevole. A una condizione, però: chi insegna ed educa deve essere felice. Il docente va scelto in base a particolari caratteristiche psicologiche. Deve essere empatico, ottimista, capace di sorridere, deve essere dolce e autorevole quando occorre.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
Così come un calciatore deve avere resistenza fisica e capacità motorie particolari anche l’insegnante-educatore deve avere particolari peculiarità. In primis tanto interesse per i bambini. Poi su questa passione si forma la professionalità. Per quel che mi riguarda sono grata al Comune di Milano che anni fa ha organizzato un corso di specializzazione per educatrici attraverso il quale ho studiato psicologia, pedagogia, alimentazione, igiene. Il corso era strutturato in una parte teorica e in una pratica. Fondamentale, secondo me, apprendere la positività attraverso corsi di formazione, stage nelle scuole, viaggi che permettono di confrontarsi con altre realtà anche all’estero.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare all’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Durante la crescita il bambino modifica il proprio comportamento sulla base dell’esperienza, degli stimoli visivi, motori, tattili. Tutte le relazioni che un bambino intrattiene con adulti sono “educative” nella misura in cui trasmettono valori, comportamenti, modalità di ragionamento… Per mettere in campo un’educazione corretta è molto importante avvalersi molto degli esperti: pediatra, neuropsichiatra, logopedista che possono indicare scelte e obiettivi educativi.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
E’ uno stato di benessere, gioia che non esclude la micro-conflittualità. Questa però deve sempre trovare soluzioni. Capisco se un bambino è felice dal modo di correre, di camminare, dalla sua capacità di risolvere i problemi e tornare a sorridere.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Chi insegna dovrebbe saper capire e ascoltare il bambino oltre a offrirgli strategie didattiche che possono sviluppare le capacità di andare oltre le difficoltà. Importante utilizzare molto a scuola arte, musica, teatro, veri e propri veicoli di felicità che indicano soluzioni e aiutano il bambino a costruire un suo modo di vivere.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
La differenza c’è, ma bisogna anche dire che fin dalla nascita trattiamo maschi e femmine in modo diverso. Tendiamo a rivolgerci in tono più dolce alle bimbe e a fare giochi più attivi e di movimento con i bimbi. Osservo che questa diversa felicità di genere è soprattutto evidente durante le drammatizzazioni e i giochi del fare finta di …
Francesca Cugini è diplomata al Conservatorio in Flauto Traverso, è docente di musica nella scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Sant’Ambrogio di Milano.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
In questo momento la scuola trasmette poca positività perché è inchiodata a sistemi didattici e di valutazione non al passo con i tempi e con gli interessi dei ragazzi. Inoltre, spesso non accende passione ed entusiasmo perché trasmette i contenuti con un linguaggio “antico” che gli studenti non possono capire. Per quel che mi riguarda sono avvantaggiata: la musica non è soggetta a “rigide” programmazioni e così si possono davvero organizzare lezioni “su misura”, adatte ai ragazzi di quella specifica classe.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
Credo che un quid positivo sia presente in ogni codice genetico. Perché possa essere giocato correttamente nella vita deve essere accolto, incentivato, nutrito e incentivato attraverso un lavoro educativo che affianca il ragazzo e lo accompagna fin dove può arrivare.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Bisognerebbe ristrutturare la scuola: ogni insegnante dovrebbe lavorare pensando che la propria materia è la più importante. Solo attraverso questo coinvolgimento appassionato i ragazzi diventano creativi e padroni del processo di apprendimento. Fondamentale il metodo utilizzato che deve essere ludico, focalizzato sulla ricerca condivisa della soluzione.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Sono cristiana: per me felicità è fare il Bene. Don Giovanni Bosco sottolineava l’importanza di essere onesti cittadini e buoni cristiani. Sono convinta che non stiamo meglio scegliendo l’egoismo: siamo più felici se i nostri fratelli lo sono come noi.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
La felicità dei nostri ragazzi passa da noi adulti: se siamo innamorati delle materie e di tutte le cose che vogliamo trasmettere i nostri ragazzi ascoltandoci saranno felici.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla sua esperienza c’è una diversa felicità di genere?
Sì, insegnando, riscontro questa diversità. I ragazzi sono schietti, fiduciosi, le ragazze lavorano di fantasia, interpretano. Sono più complicate dal punto di vista emotivo. Importante rispettare le differenze e trasformarle in ricchezza lavorando su progetti condivisi.
Elisabetta Bertocchi, 47 anni è laureata in Filosofia, ha il diploma di laurea in Scienze Religiose e ha conseguito un master in Disturbi dell’apprendimento. Dopo aver lavorato diversi anni in azienda, si è dedicata all’ambito educativo sia insegnando sia lavorando in comunità per minori. Da ormai otto anni ricopre il ruolo di direttrice didattica presso l’Istituto Achille Ricci, un’associazione senza scopo di lucro che comprende le scuole dell’infanzia e primaria paritarie, e l’assistenza-dopo scuola per la scuola secondaria di I°.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
La scuola ha un ruolo importante nell’aiutare i bambini e i ragazzi ad avere un approccio positivo alla vita, in quanto dovrebbe essere un luogo di esperienze significative e arricchenti. E’ il luogo dove si possono instaurare relazioni profonde e durature, sicuramente tra i bambini ma anche tra bambini e adulti, e tra adulti e adulti…infatti è importante un ambiente accogliente, ‘sorridente’, dove il bambino è ascoltato, rispettato e considerato come persona nella sua globalità. Non solo la didattica e gli apprendimenti sono importanti, ma anche tutti gli aspetti educativi legati alla crescita della persona (aspetto affettivo, relazionale, spirituale ….).
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
Credo che ognuno di noi abbia un personale approccio alla vita. Ritengo però che si possa anche educare a guardare il mondo e la vita con occhi positivi cercando il buono e il bene, che a volte si fa fatica a trovare ma che c’è e si può cogliere….occorre però avere lo sguardo ‘giusto’…
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Innanzitutto credo che un figlio debba essere voluto, accolto e amato. Questo è il punto di partenza, e i bambini riescono a cogliere questo aspetto, che comunque non esime dal dare le regole, importantissime perché i bambini hanno bisogno di limiti, ce li chiedono anche se apparentemente sembra il contrario. Avere un ruolo educativo porta, a volte, ad essere impopolari agli occhi dei figli però non bisogna aver paura, in gioco c’è la crescita armoniosa e di personalità forti, in grado di reggere le difficoltà e le frustrazioni. Un altro aspetto importante è, non solo dare delle ‘cose’ ai figli, ma proporre esperienze, facendo conoscere situazioni nuove in modo da aprirsi alla realtà senza paura e in modo da essere capaci di stare in relazione con gli altri in modo positivo.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Sicuramente felicità è realizzazione personale dei propri sogni e desideri aiuta ad essere felici, ma non basta…perché, se anche riesco a realizzarmi, ma poi per qualsiasi motivo la situazione cambia….devo trovare un altro equilibrio. Credo che la felicità sia una conquista personale se si riesce a guardare la propria vita e la vita in generale con occhi nuovi e diversi ogni giorno…non è facile ma è un ‘compito’ doveroso soprattutto per chi lavora nell’ambito educativo…l’educatore non perde mai la speranza…
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Ascoltarlo nel senso vero e profondo del termine…ed è veramente difficile, perché ascoltare davvero significa ‘togliere’ qualcosa di sé per far spazio all’altro e tenere dentro, nel cuore, ciò che ci comunica, per riuscire a conoscerlo al di là delle apparenze… Credere in lui….infondere coraggio, che non vuole dire non ammonire o riprendere mai, anzi…ma tenere sempre presente l’obiettivo: crescere esprimendo al meglio se stessi e le proprie potenzialità. Lasciarlo andare…è importante per i genitori capire che i figli non sono loro…sono altro…e devono progressivamente essere lasciati andare, perché un ragazzo sia felice deve poter diventare se stesso.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
Più che una diversa felicità, c’è probabilmente una ricerca della felicità in ambiti diversi… Nella ricerca di se stessi forse le femmine sono più determinate e arrivano prima a capire chi e cosa vogliono essere, per i maschi è, forse, un po’ più faticoso ma, probabilmente, dipende sempre dal tipo di educazione ricevuta.
Elena Crespi, 40 anni, insegna lettere a Milano nella Scuola Media Ilaria Alpi, alla Barona, zona 6, periferia sud della città. Un quartiere un po’ metropoli, un po’ campagna segnato da tante criticità: conflitti tra baby-gangs, difficili convivenze con i flussi migratori, alto tasso di disoccupazione.
La dispersione scolastica in questa zona della città è pari al 30 per cento. Detto questo, parlare di positività nell’area 6 sembrerebbe una mission impossibile. «Eppure, proprio qui, sperimento ogni giorno con i miei ragazzi che l’ottimismo ha un impatto determinante nel favorire l’apprendimento, ma soprattutto il recupero degli allievi in difficoltà», dice la professoressa Crespi.
Provare e riprovare con più creatività
«Ogni ragazzo possiede dei talenti, ma, affinché emergano, è necessario compiere un percorso lungo, impervio, con tanti ostacoli. Occorre provare e riprovare non solo con più forza e determinazione, ma con maggior creatività, con più ottimismo. Ricordiamolo: farcela è una sfida che ha bisogno di un allenamento specifico: lezioni a scuola, studio, compiti a casa, spirito di squadra. Senza fatica non c’è felicità, a mio avviso». Ma sono anche indispensabili i rinforzi positivi, la tenerezza: cordialità, sorrisi, comprensione sono il vero carburante del processo di apprendimento. «Dico sempre ai miei ragazzi che si può perdere una partita pur rimanendo dei grandi campioni: importante però continuare ad allenarsi con gioia, coraggio e passione senza arrendersi. Perché la felicità è una “forma mentis” che si acquisisce nel quotidiano, è uno stato di grazia che richiede sforzo, capacità di andare avanti anche quando siamo sconfitti».
Scuola e famiglia
«Noi insegnanti e genitori possiamo fare molto per educare alla felicità e spesso non servono grandi strategie. Accennavo prima al tema della tenerezza: a volte, noi adulti riteniamo stucchevoli e fuori luogo alcuni comportamenti “caldi” classici del dialogo d’amore mamma-bambino: eppure proprio uno sguardo d’approvazione, una carezza, una parola detta al momento giusto, a casa e in classe, hanno più efficacia di tanti rimproveri». Tante volte si riescono a sciogliere tensioni e risolvere conflitti con un gesto affettuoso, poi sono i ragazzi a sorprenderci ritrovando l’equilibrio e la giusta carica per imparare. Importante evitare sempre gli esempi punitivi che fanno riferimento al “dolore del mondo” o a chi “sta peggio»”.
Sintonizziamoci!
La parola chiave nella relazione insegnante-alunno dovrebbe essere empatia: ciò significa dimenticare un po’ noi stessi, metterci da parte, per lasciar parlare i ragazzi. Spesso, lo verifico anche in famiglia, per rendere felice un figlio basta “semplicemente ascoltarlo”: sembra scontato, ma a volte, presi dalla frenesia del quotidiano, dimentichiamo la necessità di fermarci. Gli adolescenti ci lanciano messaggi continui. «Da mamma, posso dire che nelle ore meno indicate (generalmente quando si sta entrando nella fase sonno REM) i figli chiedono di poter parlare: ecco, stiamo con loro! La felicità è anche sentire di essere importanti.
L’aiuto che viene dai classici
Da insegnanti evitiamo di interpretare i gesti di sfida dei nostri allievi come un attacco personale: le provocazioni spesso sono solo richieste di aiuto!», continua la Crespi. L’ex galeotto Jean Valjean, protagonista de I Miserabili, il romanzo di Victor Hugo riesce a riscattare il suo passato, a realizzarsi, a fare del bene, dopo l’incontro con il vescovo che non lo consegna alla polizia nonostante il furto subito. É quel gesto di perdono a mettere in moto l’energia positiva di Jean. «Tanti suggerimenti per comunicare positività ai ragazzi mi vengono dalla letteratura. I Promessi Sposi, L’Infinito di Leopardi mi aiutano a rispondere a molte domande perché sono letture che vanno all’essenziale, senza edulcorazioni. Ed è questo a fare la differenza: perché le esperienze negative ci rendono sicuramente migliori, più sensibili verso gli altri, e, di conseguenza, in grado di lavorare in gruppo, di dare e ricevere positività, se sappiamo cogliere il loro senso, la loro essenzialità.
Cristina Pacei, giornalista professionista è vice capo redattore della rivista Io e il mio bambino, edizioni RCS. Da molti anni si occupa di tematiche legate all’educazione, al mondo-scuola, all’essere genitori oggi.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
Credo che insegnare sia un’arte! L’obiettivo di un docente dovrebbe essere quello di mostrare il lato positivo delle varie situazioni, il significato che sta sotto ogni fatica. Attraverso un ottimismo realistico possiamo vivere meglio il presente, ma anche il domani. Ricordiamolo: la positività è più costruttiva della paura.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
È vivendo con gli altri, è attraverso scelte di comportamento, pensieri, elaborazioni condivise, esplorazioni che si apprende la positività. Di fondamentale importanza, in questo senso, è la vita in famiglia. Oggi l’idea più diffusa è che voler bene ai propri ragazzi significhi fare di tutto per soddisfare i loro bisogni, renderli felici evitando ogni conflitto, disaccordo. Si dimentica così che anche la capacità di dire no fa parte dell’amore. Porsi dei limiti e confrontarsi con le inevitabili frustrazioni della vita restituisce valore e significato al “sì,” al raggiungimento dell’obiettivo. Senza l’esperienza del rifiuto e della mancanza tutto viene dato per scontato, per acquisito producendo un senso di noia, di saturazione che soffoca il desiderio e impoverisce le risorse emotive.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Per un armonioso sviluppo occorrerebbe tener conto dei due poli: qualità e quantità. Con una illimitata libertà possono svilupparsi adolescenti molto centrati su di sé e poco empatici, pronti a entrare in conflitto con chi li limita. Al contrario i figli delle famiglie troppo “severe”, proprio perché hanno introiettato modelli genitoriali molto limitanti, cercheranno relazioni sociali strutturate e per questa ragione in alcuni casi potrebbero essere facili vittime di plagio, di persone con una forte personalità. Non solo. Potrebbero essere più attratti da ambienti austeri e rigidi, come gruppi di proselitismo o estremistici, in un tentativo mai riuscito di ripetizione di modelli genitoriali molto normativi. L’ideale è crescere in una famiglia dove si è raggiunto un certo equilibrio fra libertà e limiti. Importante anche l’ambiente in cui si vive, il quartiere della città, la partecipazione o meno alla vita comunitaria, per esempio, in parrocchia.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Penso sia una tensione che punta al raggiungimento di una meta in continua evoluzione. Gli americani tra i fini indicati dalla loro Costituzione hanno inserito il perseguimento della felicità! E poiché non si riesce a diventare felici per legge, l’uomo tenta altre strade, più interessanti e “personali”. Non dimentichiamolo: una parola, un gesto, una meditazione possono trasformare un evento negativo in positivo. C’è, infatti, una possibilità di manipolazione degli eventi che è davvero magica, cioè fuori dal controllo della ragione. Legata ai pensieri, ai sogni, a quei livelli di consapevolezza più “sottili” che la vita quotidiana, così frenetica, tende a sopprimere: ed è questa capacità di trasformazione che dovremmo trasmettere ai nostri ragazzi!
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Costruiamo la nostra felicità attraverso il confronto con un maestro di vita, un padre, una figura al di sopra delle parti che incarna valori, tradizioni. Sono convinta che per trovare la propria strada ed essere felici sia necessario “avere dentro di noi” una mitica figura maschile di eroe, positivo o negativo che, nel bene o nel male, lascia il suo segno impresso nella memoria e nella coscienza. È a questo padre che i genitori e gli insegnanti di oggi dovrebbero ripensare…
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
Già in epoca fetale i cervelli dei maschi e delle femmine sono profondamente diversi. Penso che la pedagogia e la ricerca della felicità delle ragazze e dei ragazzi sia tutta da ripensare alla luce delle neuroscienze. Forse, bisogna rifondare metodi di insegnamento e modalità di approccio alle materie per sviluppare correttamente le diverse potenzialità e capacità di interpretazione. La valorizzazione delle differenze è veicolo di felicità!
La scuola può cambiare la nostra prospettiva. Suor Claudia Cavallaro è laureata in lettere classiche ed è Preside della scuola secondaria paritaria di I grado dell’Istituto Maria Mater Mea delle Orsoline Figlie di Maria Immacolata via Pusiano, Milano.
Le Orsoline sono state fondate a Verona da un parroco veronese nel 1856: il loro obiettivo, ancora oggi, è quello di proporre una formazione umana e cristiana ai giovani. A Milano le Orsoline erano state chiamate dai Padri di Don Calabria nel 1950, in via Cimiano. Nel 1956 arrivarono le prime tre suore, per aiutare nel lavoro parrocchiale. Furono costituite la scuola (oggi è paritaria: infanzia, primaria e secondaria di primo grado), e anche un pensionato che ora non c’è più.
Al suo posto l’opera si è trasformata in studentato universitario. A suor Cavallaro che proviene dalla dirigenza della scuola paritaria delle suore Orsoline di Chieti e che ora dirige questo importante istituto milanese (dalla materna alla scuola superiore) abbiamo rivolto alcune domande.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola?
– La scuola può motivare, organizzare attività utili a favorire la positività nei ragazzi, attraverso attività di tipo esperienziale. Ma sono soprattutto le figure degli insegnanti a fare la differenza, a trasmettere passione ed entusiasmo.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
– E’ innata, se consideriamo che ogni personalità ha una sua matrice biologica, un suo “corredo” di doti, di temperamento… ma può anche essere insegnata, posta come obiettivo esistenziale. Molte persone hanno un approccio alla vita “negativo”: alcuni si sentono circondati da nemici e rivali, altri hanno bisogno di appoggio e tutto è filtrato attraverso questa ottica, altri ancora hanno bisogno di linearità. C’è poi chi ha bisogno di complessità…La scuola può far molto per aiutare i ragazzi a cambiare prospettiva, modo di pensare al fine di stare meglio.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo?
– A mio parere, un ruolo molto importante è dei genitori. Perché nei primi anni di vita, un bimbo deve fare l’esperienza della fiducia di base, che è fondamentale. In secondo luogo la scuola, dall’infanzia in poi, può e deve aiutare i bambini a sviluppare al meglio le loro potenzialità, a conoscersi prima di tutto e a realizzare se stessi. Anche qui, credo sia fondamentale il campo esperienziale, e la rielaborazione critica che si fa, secondo i gradi di scuola e i singoli, sulle cose. È fondamentale, aiutare a pensare e a riflettere su ciò che avviene.
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
– Difficile rispondere. Ci sono tante definizioni, a seconda dell’idea di “persona” che si ha. Direi che sono un po’ vere tutte, e tutte parziali, possono toccare ora un aspetto ora un altro. Può essere resilienza, autorealizzazione, ricerca del piacere, del benessere, realizzazione di sé secondo precisi valori, serenità interiore, soddisfazione…beatitudine evangelica…E ancora: può essere raggiungere il meglio di quanto si può diventare. Ricordo che un regista russo, anni fa commentando l’attività di contadini italiani, diceva che nulla era più realizzante per loro continuare a fare quell’attività per il futuro… Personalmente penso la felicità come una realtà più interiore che esteriore.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
– Secondo il proprio ruolo, può aiutarlo a maturare secondo la misura che ogni ragazzo è in grado di raggiungere: è più facile dire cosa non deve fare. Ad esempio evitare di esigere che il giovane sia proiezione dei propri desideri, fotocopia di sé. Ogni persona ha una sua chiamata (per un cristiano: la propria vocazione).
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
– Secondo la mia esperienza, di educatrice, di insegnante, di formatrice: sì, c’è una diversa felicità di genere, come c’è un approccio globale alla vita diverso. Di fondo però ci sono dei bisogni uguali, che si esprimono diversamente: il bisogno di amare e di essere amato, di essere riconosciuto e stimato, di essere significativo per le proprie capacità… per un ragazzo si esprimono, questi bisogni, in un modo, per una ragazza ovviamente in modo diverso.
Laura Maiocchi insegna lettere dal 1990 presso la Scuola Secondaria di Primo grado dell’Istituto S. Gemma di Milano, Congregazione delle Suore di S. Marta. Dallo stesso anno, fino al 1996, ha anche lavorato nelle Superiori della stessa scuola.
«Per me è stato molto interessante potermi occupare delle due fasce d’età contemporaneamente e vedere il percorso evolutivo dei ragazzi. Stare in questi due “mondi” mi ha spinta a trovare e scegliere le formule espressive più adatte per farmi capire dai miei allievi, favorire il loro apprendimento e lo sviluppo delle singole capacità», dice la professoressa Maiocchi.
A Lei abbiamo chiesto se la scuola educa alla felicità e come si declina questa ricerca.
L’approccio positivo è una mentalità che si apprende?
«Sì, se la vita è apprezzata come dono, allora nulla dell’esperienza umana è inutile o negativo, ma tutto è occasione di crescita e di realizzazione. Famiglia e scuola insieme possono fare molto per lo sviluppo armonico dei ragazzi se, e quando, operano, ciascuna nel proprio ambito, nella medesima direzione. La scuola, attraverso le sue peculiarità didattiche ed educative, consente al ragazzo di conoscersi, innanzi tutto, e di conoscere la realtà. Durante il percorso di apprendimento il professore ha modo di far scoprire a ogni allievo il suo carattere, le attitudini, i desideri, i punti di forza e di debolezza. In questo senso la scuola prepara ad acquisire una mentalità positiva. Importante però che non censuri ciò che non va, ma che valorizzi tutto, successi e difficoltà».
Il ruolo chiave delle motivazioni?
«Non sono una psicologa, dunque non entro in un campo che non mi compete. Come persona che lavora da anni con i ragazzi, posso osservare che ci sono alunni che “naturalmente” guardano il solito bicchiere o come mezzo vuoto, o come mezzo pieno. Sempre osservandoli quotidianamente rilevo che i giovani hanno però bisogno di ragioni per impegnarsi, lavorare, studiare. Ma non solo. Chiedono anche e soprattutto ragioni per vivere. Ritengo che un docente, a partire dal proprio modo di porsi, possa davvero comunicare la positività. Mi spiego: se un insegnante entra in classe demotivato, difficilmente riuscirà a convincere i suoi interlocutori che ciò che sta proponendo è valido. Viceversa, se attraverso l’insegnamento trasmetterà il gusto per il bello, l’importanza della scoperta e della collaborazione il riverbero negli allievi sarà desiderio di bellezza, esplorazione, gioia».
C’è bisogno di adulti competenti?
«Una premessa: non dimentichiamo l’importanza del metodo quando si insegna! E a questo proposito torno spesso col pensiero a quello che mi hanno lasciato in eredità i miei genitori: per preparare un ragazzo alla felicità bisogna volergli bene. Ossia scegliere ciò che è il suo bene. Ovviamente questo non esonera dalla possibilità di sbagliare, ma penso che sia un buon criterio di valutazione. Rifacendomi alla mia esperienza, ritengo che i bambini e gli adolescenti abbiano bisogno, oggi più che mai, di avere davanti a sé adulti competenti, punti di riferimento, capaci di esprimere con la vita (e non con i discorsi) cosa è bene e cosa non lo è, cosa significhi avere rispetto delle persone, degli animali, del mondo. I ragazzi evidenziano anche la necessità di essere ascoltati; troppo spesso si ritrovano invece ad ascoltare gli adulti, talvolta a dover agire da adulti, a comportarsi più saggiamente di noi grandi».
Cos’è, secondo lei, la felicità?
«Forse tanto lontana, oggi, la felicità è qualcosa di fortemente desiderato. Spesso si ritiene sia il benessere con tutte le valenze che questo comporta. Per quel che mi riguarda credo sia star bene con sé stessi e con gli altri, ma non solo. Per me la felicità è Bene Supremo, sperimentabile soltanto in qualche frangente della vita stessa, come “assaggio” della felicità perfetta. Mi piace il concetto di desiderium, inteso nell’accezione del “sentire la mancanza delle stelle”, quelle “stelle” tanto auspicate anche da Dante… Felicità è obiettivo finale, compimento del proprio percorso umano. Un percorso che è individuale, per ciascuno, di ciascuno, come la vita è di ognuno. Sono convinta che ciò che può soddisfare l’intima domanda di felicità sia soltanto la profonda e personale scoperta di essere creatura di un Altro. E che solo un’educazione vera (Manzoni direbbe: “al Vero”) contempli tale possibilità».
Sono gli adulti a rendere felici i ragazzi?
«No, assolutamente no. Come ho detto, ciascuno deve vivere la propria vita per scoprire cosa è la felicità, perciò non penso che un adulto debba fare qualcosa per rendere felice un ragazzo. Ritengo sia un dovere dell’adulto voler bene a un ragazzo. Quando un adolescente si sente voluto bene è contento e non cerca altro per compensare ciò che gli manca. Quando un ragazzo avverte che suo padre (o il suo professore) tiene a lui (e questo, un ragazzo lo sente empaticamente) è contento. Io genitore, devo saper “guardare” mio figlio. E lo stesso vale per l’insegnante che deve guardare il suo alunno per ciò che è, pensando al suo destino, facendo tutto ciò che può».
vicepreside e docente presso i licei Faes, Marcello Bramati ha 33 anni, due lauree magistrali in Lettere e Scienze Storiche, è vicepreside e docente presso i licei FAES, centri scolastici con diverse sedi in tutta Italia.
Due le caratteristiche principali di queste scuole:
Alcuni studi sociologici nel Regno Unito classificano fra i migliori istituti privati quelli omogenei, dove gli studenti sono separati per sesso.
D’altronde è risaputo che insegnare ai ragazzi richiede, per esempio, un maggior interesse al movimento, allo sport così come stare con le ragazze significa prestare maggiore attenzione ai sentimenti, alle emozioni.
Scuole Faes cercano di rispondere a queste diverse esigenze.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
La scuola è, per uno studente, quotidianità: deve essere un ambiente in grado di svolgere un doppio ruolo. Primo: palestra, dove si apprende un metodo. Secondo: vetrina, spazio in cui mostrare i saperi mirabili. Tutto questo in un clima di professionalità e di serenità.
Grazie a docenti ben disposti al dialogo, professionisti colti in grado di insegnare metodologie di lavoro efficaci e soprattutto desiderosi di far bene il proprio lavoro, capaci di mostrare interesse per la cultura e per la sua trasmissione.
Così lo studente crescerà al fianco di veri e propri exempla, ovvero maestri riconosciuti come coloro che sono in grado di dare qualcosa in più (vedi etimologia della parola magis che significa più, superiore). La scuola, mostrandosi come autorità autorevole in grado di comunicare e trasmettere sapere, sarà un ambiente favorevole per sviluppare interessi e buone relazioni.
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
La positività non è dote innata e non si può insegnare, tuttavia, può essere trasmessa, e non è caratteristica di poco conto. Un approccio sereno, infonderà sicurezza e concordia tra le persone coinvolte in una determinata situazione.
È fondamentale, realisticamente, mostrare come sia possibile, sempre, compiere un percorso di formazione e di crescita volto al miglioramento.
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
Durante i primi anni, è importante stimolare i più piccoli facendo vivere loro diverse esperienze in prima persona, anche solamente sotto forma di gioco in grado di attivare creatività e interesse. Basta poco ai bambini: stimoli sonori, dalla musica classica al rap, dai suoni di un bosco a quelli della città, stimoli visivi, dai quadri più famosi a foto di piccoli particolari in HD… È inoltre fondamentale preparare alcuni momenti di dialogo fondati sulle argomentazioni e iniziare ad educare alla scelta. Un piccolo esempio può essere quello di offrire ai bambini la possibilità di scegliere quale maglietta preferiscono che sia acquistata o indossata per andare al parco (quella rossa o quella blu?) mentre sarà deleterio chiedere se vogliono andare o meno dai nonni, specie se noi abbiamo già deciso (ciò provocherebbe capricci e incomprensioni).
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
Rimanendo in ambito educativo, felicità è sinonimo di serenità: nel momento in cui uno studente non vive l’impegno scolastico con angoscia, con ansia, ma con impegno e con la consapevolezza che ogni giorno vivrà a stretto contatto con professionisti che intendono metterlo nelle condizioni di fare bene, senza preconcetti, pregiudizi, autoritarismi e disordine, allora il ragazzo andrà a scuola volentieri, sarà sereno. Direi felice.
Concretamente cosa può fare un insegnante o un genitore per rendere felice un ragazzo?
Genitori ed insegnanti devono mostrarsi un punto di riferimento credibile. I ragazzi sono abituati, fin da piccoli, ad avere a che fare con adulti che decidono per loro, sia che abbiano stabilito un accordo sia che non lo abbiano stabilito. Crescendo, i ragazzi avranno maggiore autonomia, ma non devono sentirsi soli: gli educatori dovranno saper interpretare al meglio il loro ruolo, in sintonia con il momento evolutivo del ragazzo in questione, mostrandosi capaci di lungimiranza, senza farsi prendere dal panico.
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
Non credo si possa parlare di diverse felicità, mentre è possibile soddisfare in modi differenti studenti diversi. Una classe maschile sarà tendenzialmente più sensibile a una sana competizione e a traguardi intermedi condivisi e tangibili nell’immediato, mentre in una classe femminile o a prevalenza femminile potrebbe essere deleterio puntare proprio sulla competizione.
Terry Haywood è Head Master dell’International School of Milan (ISM), una scuola internazionale attiva nel capoluogo lombardo da quasi 60 anni.
Il progetto ISM è sempre stato quello di dare ai ragazzi “un mondo senza frontiere” sia a livello geografico che mentale. Il programma di questa scuola fonda la sua pedagogia sulla ricerca, sull’apprendimento che parte dalle domande dei ragazzi, sulla capacità di affinare l’attenzione, di ricevere, ma soprattutto di riprodurre benessere.
A Terry Haywood abbiamo rivolto alcune domande sul tema “felicità e scuola”.
Le scoperte delle neuroscienze dimostrano quanto un approccio positivo alla vita abbia un impatto determinante sul benessere dei ragazzi e dei futuri adulti. Che ruolo può avere la scuola in questo ambito?
«Il tempo che i ragazzi passano a scuola è fondamentale nel determinare la felicità presente e futura: gli allievi devono sentirsi protetti in un ambiente che trasmetta loro fiducia, ma devono anche poter fare tutte quelle esperienze che li preparano ad affrontare la vita. La scuola non è un paradiso, ma piuttosto un laboratorio dove si possono sperimentare cose che funzionano e cose che non funzionano, imparando anche da queste ultime. La scuola è vita».
La positività è una dote innata oppure può essere insegnata?
«Non sono uno scienziato ma credo che pensare alla positività come qualcosa di semplicemente innato è perdente. Dall’altra parte, però, ho qualche dubbio sui tentativi di “insegnare” la positività e mi sembra più probabile che la si “apprende” attraverso la partecipazione in una comunità che incoraggia atteggiamenti e comportamenti correlati».
Il 50% delle potenzialità di un figlio è genetico. Tuttavia ciò che si fa nei primi anni è fondamentale per influenzare l’atteggiamento dei nostri ragazzi. Come comportarsi dal punto di vista educativo in quella fascia d’età?
«Mi viene da chiedere – 50% di quale potenzialità? Sicuramente c’è una componente genetica nelle nostre personalità ma ciò che abbiamo innato deve comunque essere valorizzato in un contesto che permetta uno sviluppo aperto e non incanalato in un’unica forma espressiva. Ecco perché i primi anni di vita sono fondamentali sia per lo sviluppo cognitivo sia per elaborare regole comportamentali e atteggiamenti verso il mondo. Il saper vivere si sviluppa nell’interazione con gli altri fin dall’infanzia: genitori, familiari, compagni di scuola, insegnanti, amici. I bambini che entrano a scuola quando hanno sei anni si presentano con una personalità già formata, anche se non necessariamente in via definitiva. La scuola può e deve poi fare un grosso lavoro per favorire la sicurezza di sé e l’autostima, rispettando i ritmi del ragazzo, garantendo un ambiente sicuro dove può imparare a convivere con gli altri sotto lo sguardo di adulti che possono sostenere e aiutare nei momenti giusti».
Felicità: che definizione dare oggi a questa parola?
«La felicità ha molte forme e tante sfaccettature.É difficile dare una definizione precisa. Ritengo, comunque, che è caratterizzata dalla capacità di essere non solo felice in questo momento ma di affrontare il futuro con fiducia. Alcune capacità imparate a scuola possono contribuire a sviluppare questo atteggiamento: resilienza, autostima, capacità di risorgere dopo un fallimento, autorealizzazione, saper trovare piacere nel nostro interiore insieme a quello che viene dal gruppo sociale in cui viviamo. Alcuni sostengono che la stessa ricerca della felicità è l’aspetto più importante – non tanto il raggiungimento del piacere. Ognuno trova la sua dimensione felice: il monaco nella riflessione e nella preghiera, un’altra persona nelle relazioni sociali. Perché in parte la felicità è dentro di noi e in parte è legata al tipo di relazioni che abbiamo con il mondo. La felicità è un modo di percepire sé stessi e di accettare sé stessi».
Concretamente cosa può fare un insegnante per rendere felice un ragazzo?
«Un insegnante può tentare di proporre l’ambiente a cui abbiamo fatto riferimento nelle domande precedenti, in cui gli alunni ci si sentono protetti, in grado di sviluppare i propri interessi e di esprimere sé stessi, ma incoraggiati a dare il massimo verso obiettivi non sempre raggiunti facilmente. Credo che a scuola sia anche necessario vivere la dimensione fatica-fallimento per poter essere in grado di attivare gli anticorpi psicologici indispensabili per affrontare serenamente le difficoltà della vita. Più che il singolo insegnante, però, direi che è compito dell’istituzione creare l’ambiente giusto, che non deve essere vissuto solo in classe ma percepito nell’intero contesto scolastico».
Gli ormoni e i circuiti neurormonali femminili e maschili sono diversi: in base alla vostra esperienza didattica e pedagogica c’è una diversa felicità di genere?
«Femmine e maschi sono diversi, e qualche volta potrebbero trarre beneficio da pedagogie differenziate: ma devono soprattutto crescere per vivere insieme, collaborando nella stessa classe. Ci sono scuole che separano i maschi dalle femmine per evitare distrazioni e migliorare le performance cognitive. Ok, ma scuola è anche capacità di stare insieme con le reciproche diversità!». [/learn_more]